“Senza lattosio”: la psicologia dei consumi può spiegare questa scelta sempre più di moda

Spesso questi consumi non hanno alcuna motivazione dietetica oggettiva. Sono determinati da altri fattori, tra cui prevalgono quelli psicologici

Se da un lato il consumo di latte in Italia tiene, dall’altro lato a farsi sempre più strada è il prodotto lactose-free, scelto ormai da un consumatore su quattro. Ma ciò che sorprende è che solo il 25% di questi consumatori agisce sulla base di una diagnosi di intolleranza al lattosio. E la questione è rilevante visto che esistono studi scientifici che segnalano come un consumo troppo basso di lattosio, soprattutto se non giustificato da reali problemi, sia a lungo andare dannoso per l’equilibrio dietetico delle persone e dunque per la salute.

Perché quindi alcune persone operano una scelta alimentare sulla base di un non-problema rischiando di incorrere in un vero problema? È una delle domande che da tempo muovono le analisi dell’EngageMinds HUB, il Centro di ricerca in psicologia dei consumi dell’Università Cattolica di Cremona, che focalizza le proprie attività scientifiche sui comportamenti dei consumatori al fine di promuovere condotte corrette e consapevoli.

«Di fronte a tendenze di consumo quali quelle del “senza lattosio” è necessario analizzare i problemi e offrire chiavi di lettura a favore del cittadino – ci riferisce la professoressa Guendalina Graffigna, Ordinario di psicologia dei consumi alla Cattolica e direttore dell’EngageMinds HUB. Da sempre il nostro lavoro è rivolto a incrementare il grado di consapevolezza e di coinvolgimento attivo nelle scelte alimentari, quello che tecnicamente chiamiamo “engagement”. Andando a comprendere questo nuovo trend alimentare – prosegue Graffigna – e considerando i suoi principali determinanti psicologici è possibile generare campagne educative e di intervento utili a guidare le persone verso stili alimentari più salutari».

Su questo tema è in via di pubblicazione una review targata EngageMinds HUB, ovvero un’analisi di quanto studiato in ambito scientifico e a livello internazionale sulle motivazioni che spingono le persone a scegliere il latte delattosato. 
Come ci spiegano dal Centro di ricerca della Cattolica di Cremona, da questa revisione emerge che le ragioni che muovono i consumatori possono essere riferite a sei categorie: fattori situazionali, (abitudini, contesto sociale); fattori psicologici (processi cognitivi e tratti della personalità); fattori socioculturali (credenze e caratteristiche sociodemografiche); fattori biologici (intolleranze, funzionamento del sistema immunitario); fattori estrinseci al prodotto (marchio, etichette, imballaggio); fattori intrinseci al prodotto (consistenza, composizione nutrizionale). 

«Le motivazioni che spingono i consumatori a scegliere il latte delattosato al di là di una vera intolleranza sono dunque molte e tutte impattanti – ci sottolinea la professoressa Graffigna. Appare però sempre più chiaro come in queste scelte il ruolo determinate sia a carico di fattori psicologici. Proprio quei fattori che, come abbiamo rilevato analizzando gli studi scientifici degli ultimi anni, sono stati meno sondati e che invece avrebbero il ruolo più importante per giungere a campagne informative davvero utili per il cittadino-consumatore».

Ma vediamo intanto meglio quali sono i fattori psicologici più ricorrenti nelle analisi internazionali che portano i consumatori a scegliere prodotti senza lattosio pur non avendone alcuna necessità legata alla salute. Ci aiuta Greta Castellini, ricercatrice presso l’EngageMinds HUB. «Alcuni studi si sono concentrati sulla comprensione del legame tra i processi cognitivi, i processi decisionali e alcuni tratti della personalità. È stato dimostrato che le conoscenze nutrizionali e in particolare se riferite alle diverse proprietà del latte possono influenzare il consumo di “senza lattosio”».
«Un’altra variabile che può influenzare questo tipo di consumo – ci dice sempre Castellini – viene dalla percezione di supposta maggior salubrità del prodotto, legata alla preferenza per i cibi naturali. Da queste analisi, esce anche che una parte dei consumatori è inoltre disposta a pagare un sovrapprezzo per il latte senza lattosio; una tendenza già in atto in diversi paesi come Regno Unito, Svezia, Polonia e Francia».