Provolone Valpadana DOP: nuove tecnologie per i trattamenti in superficie

Difficile migliorare un’eccellenza. Eppure, è quello che si sta facendo all’Università Cattolica di Cremona, dove un team di ricercatori – capitanato da Annalisa Rebecchi coadiuvata da Federica Meanti – sta lavorando per individuare un coating (il rivestimento) per il Provolone Valpadana, una delle più importanti Dop casearie del panorama alimentare italiano.
La ricerca ha l’obiettivo di valutare coatings innovativi per evitare lo sviluppo fungino nei formaggi a pasta filata. Attualmente, in questa tipologia di formaggio, oltre che la paraffina e la stagionatura con materiali traspiranti, può essere utilizzato, come agente antifungino, un polimero plastico denominato “Plasticoat”, che può contenere natamicina in bassa quantità, un antibiotico che potenzia la funzione antimicotica. Ovviamente, esistono molti studi che escludono un’interazione tra la natamicina e il colon umano, quindi non c’è effetto sul microbiota intestinale e, ad oggi, non è stata dimostrata la capacità dei funghi di sviluppare resistenza alla natamicina.

Verso una clean label 
Ma per meglio incontrare l’esigenza dei consumatori che sempre più puntano alle clean label, il Consorzio Tutela Provolone Valpadana ha promosso questo studio nel quale l’Università Cattolica di Cremona – anche nell’ambito delle ricerche Ircaf, il Centro di riferimento agro-alimentare Romeo ed Enrica Invernizzi – sta indagando coating definiti attivi, o intelligenti che, escludendo la natamicina, possono meglio rispondere alla domanda del consumatore di avere prodotti più naturali e sostenibili.
Infatti, i materiali attivi e intelligenti prolungano la shelf-life mantenendo o migliorando le condizioni degli alimenti confezionati, rilasciando o assorbendo sostanze verso o dall'alimento o dall'ambiente circostante.

Prove con chitosano
A questo riguardo il lavoro di ricerca è stato rivolto a valutare l’effetto di una nuova tipologia di rivestimento formulato con chitosano e gelatina. Il chitosano è un polimero edibile, presente in natura, interamente biodegradabile e già utilizzato per altri alimenti. Deriva dalla chitina, un polimero presente nell’esoscheletro di crostacei e insetti, ma anche nella parete cellulare dei funghi.
Alla Cattolica di Cremona, e in particolare nei laboratori del Distas – il Dipartimento di Scienze e tecnologie alimentari per una filiera agro-alimentare sostenibile – l’attività inibitoria e di riduzione della crescita fungina del chitosano è stata valutata selezionando due muffe: Penicillium roqueforti e Aspergillus candidum, specie frequentemente riscontrate, in generale, come contaminanti nei formaggi. 
Sono dunque state eseguite delle prove in piastra con l’obiettivo di valutare la migliore attività inibitoria del coating. Le fette di formaggio sono state tagliate con una forma di 55 mm, poi messe in piastra e ricoperte da una soluzione al chitosano. Da questa prova è stato osservato che il chitosano ha manifestato una buona azione inibitoria nei confronti dello sviluppo fungino. 
Si è deciso quindi di eseguire la prova su forme di provolone intero, inizialmente su formaggi non DOP sottovuoto acquistati nei canali commerciali e, successivamente, su forme di circa 1 kg di Provolone Valpadana DOP fornite dal Consorzio di Tutela.
In conclusione, si può dire che i risultati sul controllo fungino sono stati molto incoraggianti, e portano a vedere le potenzialità del chitosano come possibile trattamento in superficie. Le “coperture” a base di chitosano forniscono dunque un interessante e incoraggiante cambio di tecnologia per l’industria lattiero-casearia e sono quanto mai favorevoli anche per il consumatore, in quanto sono sostenibili, edibili, biodegradabili e facili da applicare.