Carne coltivata: ricerca scientifica e corretta informazione

Iniziamo con questo articolo una breve ma intensa serie di conversazioni con il professor Paolo Ajmone Marsan, Ordinario di Genetica all’Università Cattolica del Sacro Cuore e membro sia del Comitato direttivo che del Comitato scientifico di IRCAF. Il tema affrontato riguarda la carne coltivata, che spesso viene chiamata “sintetica”, e in particolare le problematiche, e le opportunità, che la sua produzione pone.

Professor Ajmone Marsan, ci dice innanzitutto qualche parola sulla diatriba, spesso mediatica, nell’uso degli aggettivi “coltivato” o “sintetico” per identificare questi alimenti?
Noi preferiamo parlare di “cellule in coltura” o di “carne coltivata”. L’espressione “cibo sintetico” ha una connotazione negativa, e spesso viene utilizzata proprio da chi vuole screditare questa tecnologia. In realtà, definirla “sintetica” è scorretto, perché fa pensare alla sintesi chimica, mentre in questo caso si tratta di cellule vive che vengono coltivate, non sintetizzate in laboratorio come si potrebbe pensare.
Sono quindi contrario all’uso del termine “cibo sintetico”: non descrive correttamente il processo e alimenta solo confusione e diffidenza.

Ci spiega le ragioni che hanno spinto e spingono l’Università Cattolica a impegnarsi in questo ambito di studi?
Attualmente, non esistono dati sufficienti e affidabili sulla sicurezza alimentare della carne coltivata. Proprio questa mancanza ci ha spinto a occuparci del tema: vogliamo valutare in modo scientifico e oggettivo tutti gli aspetti, compresi i possibili rischi, legati alla coltivazione cellulare.
Un primo ostacolo è rappresentato dal fatto che non è possibile ottenere veri campioni biologici per condurre analisi approfondite. Le cellule coltivate in laboratorio, infatti, non si trovano in condizioni fisiologiche ottimali: sono spesso sottoposte a stress e non sappiamo esattamente quali sostanze producano. 
Per questo abbiamo pensato a un progetto che analizzi, attraverso la metabolomica e anche tramite studi genomici, cosa avviene all’interno delle cellule durante il processo di sviluppo. Crescerle in modo controllato è molto più complesso di quanto si possa immaginare.
Nella ricerca, ci troviamo dunque a un livello base: il nostro obiettivo non è di tipo industriale o economico, non ci interessa sviluppare un prodotto da immettere sul mercato, ma piuttosto valutare il processo da un punto di vista scientifico, cercando di fare chiarezza su un tema che, al momento, presenta ancora molte incertezze.

Quanto è importante che la ricerca sfoci, tra l’altro, in corretta informazione?
È estremamente importante, ma anche molto difficile. La ricerca scientifica, prima di poter essere compresa e comunicata al pubblico, deve essere “tradotta”, e non tutti i ricercatori hanno gli strumenti o le competenze per farlo. La scienza, per sua natura, si basa sul dubbio e sulla verifica continua. Non è fatta di certezze assolute, ma di dati, probabilità e ipotesi che vengono costantemente messe alla prova. Questo approccio, però, spesso mal si concilia con i tempi e i linguaggi della comunicazione, che cercano risposte semplici e immediate.
In teoria, la scienza dovrebbe essere neutrale, ma nella pratica non lo è sempre. A volte per colpa degli stessi scienziati, che possono commettere errori. Ma il bello della scienza è che si corregge: un esempio concreto è quello del fumo. Nonostante inizialmente non ci fossero certezze, oggi la comunità scientifica ha chiarito che provoca gravi danni alla salute, come tumori al polmone e infarti.
In Italia, poi, la divulgazione scientifica incontra ulteriori ostacoli, perché la nostra tradizione culturale è fortemente umanistica. La scienza si basa su dati e probabilità, ma è difficile da comunicare, perché le persone tendono a ragionare “di pancia” più che con il cervello. Una risposta intuitiva e istintiva consuma meno energia mentale rispetto a un’analisi razionale. E anche noi scienziati, a volte, ne siamo vittime.
Per questo motivo credo che una divulgazione corretta sia fondamentale. Dovremmo fare di più per contrastare le fake news. Durante un evento di team building organizzato quest’anno con un gruppo di dottorandi della Scuola Agrisystem, abbiamo proprio lavorato su questo tema: le fake news e come affrontarle. Da qui è nata l’idea di creare un vero e proprio team all’interno della scuola di dottorato: un gruppo composto da dottorandi e tecnici, eventualmente affiancati anche da uno psicologo, con l’obiettivo di tradurre in modo chiaro e comprensibile le informazioni scientifiche, rendendole accessibili anche a chi non è del settore. Credo che sia un passo importante per rafforzare la fiducia del pubblico nella scienza.